Nel numero monografico di Nature sull’Alzheimer un intero articolo ripercorre la storia dell’amiloide e del suo ruolo nell’Alzheimer (link).
Nel settembre 1984 un gruppo di ricercatori di tutto il mondo si riunì in Scozia per discutere su una malattia che colpiva pecore e capre, lo scrapie.
La malattia era ritenuta importante per ragioni che andavano oltre la sola influenza sull’agricoltura. Infatti era l’esempio più facile da studiare di una classe emergente di malattie che colpivano il cervello, contagiose da animale ad animale, senza evidenza diretta di un virus o di altri microrganismi. Un indizio importante era che queste malattie lasciavano grumi insolubili, o placche, composti da milioni di minuscole fibrille, ognuna delle quali era composta di centinaia o migliaia di proteine. Veniva proposta l’ipotesi suggestiva che queste fibrille e placche fossero la traccia del passaggio di particelle proteiche tossiche, chiamate prioni.
La prima notte della conferenza, parecchi ricercatori erano riuniti a cena. Tra di loro c’erano Colin Masters, un neuropatologo presso la University of Western in Australia, e Konrad Beyreuther, un esperto del sequenziamento proteico dell’Università di Colonia in Germania. Masters cominciò a raccontare a Beyreuther di una malattia umana che ha placche come quelle viste nello scrapie e sembrava essere molto affine a questa: la malattia di Alzheimer. Beyreuther fino ad allora non aveva mai sentito parlare della malattia di Alzheimer.
È facile dimenticare da quanto poco tempo la malattia di Alzheimer è entrata nella consapevolezza dell’opinione pubblica. Per molti decenni dopo la sua prima apparizione nella letteratura medica, il termine si riferiva ad un’oscura forma ad esordio precoce della demenza. Ciò che noi oggi conosciamo come Alzheimer ad esordio tardivo veniva definita “demenza senile” ed era così diffusa tra gli anziani che non sembrava opportuna classificarla come una malattia.
E’ anche facile dimenticare che agli albori della ricerca sull’Alzheimer si riteneva che la malattia fosse una malattia da prioni per cui tendiamo a pensare che il collegamento tra prioni e Alzheimer sia molto più recente. Alla fine del 2010, ad esempio, un team guidato da Mathias Jucker presso l’Università di Tubinga, in Germania, ha riferito che si potrebbe trasmettere una malattia cerebrale tipo Alzheimer iniettando materiale cerebrale proveniente da pazienti Alzheimer nei topi. Questi risultati hanno contribuito a un profondo ripensamento sulla causa della malattia. Ma questo atteggimento è in parte una riscoperta come ci ricorda la storia di Masters e Beyreuther.
Masters già dal 1984 sapeva che le autopsie di pazienti affetti da Alzheimer rivelavano placche cerebrali simili a quelle viste nello scrapie, spesso circondate da neuroni morenti e dai loro assoni e dendriti deformati. Colorandoli con rosso Congo e illuminandoli con luce polarizzata, le placche degli Alzheimer, come le placche dello scrapie, mostrano un riflesso color mela verde, un segno dei legami idrogeno che tengono insieme strettamente le fibrille. Gli aggregati proteici con questa proprietà peculiare vennero chiamati amiloidi.
All’inizio di quello stesso anno George Glenner, ricercatore presso la University of California di San Diego, isolò una piccola proteina dai depositi di amiloide nei vasi sanguigni cerebrali delle persone con malattia di Alzheimer. La proteina incorporata nelle placche dei cervelli Alzheimer era uguale a quella dei depositi vascolari di Glenner? O era più simile alla proteina dello scrapie? Masters e Beyreuther, durante la loro cena in Scozia, accettarono di collaborare per scoprirlo e la loro partnership probabilmente ha fatto più di ogni altra cosa per indirizzare la moderna ricerca sull’Alzheimer e la sua idea centrale: l’ipotesi amiloide.
Masters aveva già accuratamente depurato una discreta quantità di amiloide Alzheimer, in un processo simile all’arricchimento dell’uranio. Quando un campione arrivò in Germania, Beyreuther e i suoi colleghi la trattarono con l’acido formico e passarono al setaccio i detriti per trovare la più piccola proteina stabile, un peptide di circa 40 amminoacidi che Masters e Beyreuther chiamarono A4. Il sequenziamento dell’A4 ha dimostò che non si trattava della proteina dello scrapie o di qualcosa di simile, ma essenzialmente era la proteina che Glenner aveva isolato dai vasi sanguigni.
Il team di Beyreuther in breve tempo stabili che l’A4 è un frammento di una proteina neuronale molto più grande, la proteina precursore dell’amiloide (APP). Scoprirono inoltre che il gene che codifica l’APP si trova sul cromosoma 21. Questo è un indizio importante, dato che è noto che le persone con sindrome di Down, che hanno una copia extra del cromosoma 21, possono sviluppare l’Alzheimer e placche cerebrali dai 40 anni di età. Era quindi evidente che la sovrapproduzione di APP e A4 erano la causa probabile delle placche nella sindrome di Down e probabilmente anche nella malattia di Alzheimer.
(continua)