Il “muoversi” generico e non supportato da una conferma scientifica potrebbe inficiare il valore terapeutico dell’attività fisica in condizioni quali la malattia di Parkinson. E’ quanto si evince, tralaltro, dal lavoro pubblicato su Nature Reviews Neurology (link) che affronta appunto l’argomento. Rispondendo alla domanda “in che modo i pazienti traggono beneficio dell’attività fisica con malattia di Parkinson?” gli Autori ricordano come la malattia sia caratterizzata da una progressiva menomazione motoria e non motoria che porta all’adozione di uno stile di vita sedentario con conseguenze negative. Dall’analisi della letteratura si conferma che i pazienti con malattia di Parkinson potrebbero beneficiare in vari modi dell’attività fisica e dell’esercizio: dal miglioramento generale nella salute agli effetti specifici sulla malattia e, potenzialmente, anche con effetti modificanti la malattia (come suggerito da dati sperimentali sugli animali di laboratorio). Tuttavia sono ancora molti gli aspetti da affrontare, ivi compresa la necessità di eseguire studi clinici per dimostrare i presunti benefici dell’attività fisica e dell’esercizio fisico. Questi studi devono inoltre affrontare i problemi di sicurezza, come l’aumentato rischio di cadute e di complicanze cardiovascolari nei pazienti più attivi. In conclusione, l’individuazione di modalità per indurre un cambiamento comportamentale, utilizzando programmi specificamente pensati per affrontare gli ostacoli potenziali come l’instabilità posturale, la depressione e l’apatia, può portare ad un miglioramento della qualità della vita nei soggetti con malattia di Parkinson.
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