Da tempo è stato ipotizzato che gli anestetici hanno effetti minimi o non persistenti dopo il risveglio dall’anestesia. Dal momento che gli anestetici generali agiscono nel sistema nervoso centrale sui canali ionici, sui recettori e sui sistemi di segnalazione cellulare non sorprende che oltre all’effetto anestetico abbiano anche altre azioni sia vantaggiose che dannose. Un numero crescente di evidenze sta costringendo la comunità degli anestesisti a mettere in discussione la sicurezza dell’anestesia generale agli estremi di età. I dati preclinici suggeriscono che gli anestetici per via inalatoria possono avere effetti profondi e duraturi nei periodi chiave dello sviluppo neurologico neonatale negli animali, aumentando la morte neuronale delle cellule (apoptosi) e riducendo la neurogenesi. I dati clinici rimangono contrastanti sul significato di questi dati di laboratorio per la popolazione pediatrica. All’estremo opposto in età, i pazienti anziani sono riconosciuti per essere ad aumentato rischio di disfunzione cognitiva post-operatoria (POCD) con una ben riconosciuta declino delle funzioni cognitive dopo l’intervento chirurgico. I meccanismi alla base del POCD e, in particolare, il contributo dell’anestesia restano poco chiari. Modelli di laboratorio suggeriscono interazioni dell’anestetico con meccanismi neurodegenerativi, come quelli legati alla comparsa e la progressione della malattia di Alzheimer, ma la loro rilevanza clinica rimane inconcludente. Studi prospettici randomizzati sono in corso per approfondire il significato clinico di questi risultati, ma ci sono grandi difficoltà nella progettazione, esecuzione e interpretazione di tali prove. E’ improbabile che nel prossimo futuro saranno disponibili studi clinici definitivi che assolvano gli anestetici generali dall’accusa di neurotossicità, per cui è importante che i medici prestino grande attenzione quando si utilizzano questi potenti neurodepressori nei pazienti vulnerabili.
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