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Enzo Bianco: segni di confine

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Enzo Bianco e il Minotauro

Enzo Bianco è artista di rara sensibilità nonchè esperto faber, capace di utilizzare la ceramica, come la pittura per raccontare delle storie, la sua storia, la nostra storia. Nella mostra Segni di confine, in corso di svolgimento a Salerno, all’Arco Catalano, fino al prossimo 6 maggio, affronta un tema tra i più impegnativi: quello del Minotauro. Che il tema gli stia a cuore lo dimostra un bozzetto “Studio per Minotauro” (tecnica mista, collage,, carta e acrilico su cartone) che risale al 1995: già allora il tema lo affascinava ed ispirava e viene riproposto nelle opere in tecnica mista e nella splendida maiolica in terra rossa visibili nella mostra. L’interpretazione del mito del mostro metà uomo e metà toro che emerge dalla visita dell’esposizione è che il Minotauro siamo noi, esseri umani che di umano abbiamo ben poco, spesso inconsapevoli della nostra natura, della nostra condizione, dei nostri difetti. E bisogna entrare nei meandri del labirinto per capirlo. Anche in questo Enzo Bianco è stato abile interprete, sfruttando lo spazio dell’Arco Catalano come una sorta di labirinto mentale.  Appena si entra si ha un idea di gioia e di colori, suggerita da opere quali il “Missile”, “Run in the Sky”, “Four landscape”. Tutto sembra andare per il meglio ma, soccorsi in questa considerazione dallo stesso Artista che in un’amabile conversazione ha citato il Minotauro di Durrenmatt (link), nel labirinto di specchi della nostra esistenza l’Io-Minotauro è ancora inconsapevole di sè,  “si trova in un mondo pieno di esseri accovacciati senza sapere che quell’essere è lui. E’ come paralizzato. Non sa dove è né cosa vogliono quegli esseri accovacciati tutt’attorno, forse sognano soltanto, anche se non sa cosa sia sogno e cosa realtà”. L’Illuminazione avviene con la scoperta dell’altro da sè ed è una scoperta dolorosa, violenta. Eros e Tanathos si incontrano nell’accoppiamento mortale con la fanciulla che il mondo esterno gli propone. Le pulsioni di vita e di morte, inaccessibili fondamento della nostra vita psichica,  devono restare nella loro sede naturale, la parte più profonda dell’Es. Qui Enzo Bianco ci risparmia la parte dolorosa e violenta del mito. C’è, visibile, solo una profonda sofferenza. Il minotauro, mani alla testa, in piedi, piange. Perchè piange? Ancora una volta nell’interpretazione ci soccorre Durrenmatt “avvertì che non esistevano tanti minotauri, ma un minotauro solo, che esisteva un solo essere quale egli era, non un altro prima né un altro dopo di lui, che egli era l’unico, l’escluso e rinchiuso insieme, che il labirinto c’era per causa sua, e questo solo perché era stato messo al mondo, perché l’esistenza d’uno come lui non era consentita dal confine posto fra animale e uomo e fra uomo e dei, affinché il mondo conservi il suo ordine e non venga labirinto per ricadere nel caos da cui era scaturito; e quando l’avvertì, come percezione senza comprensione, come un’illuminazione senza conoscenza, non come una nozione umana fatta di concetti ma come nozione di minotauro fatta d’immagini e di sensazioni, crollò a terra, e allorché giacque, raggomitolato com’era stato raggomitolato nel corpo di Pasifae, il minotauro sognò di essere un uomo. Sognò un linguaggio, sognò fratellanza, sognò amicizia, sognò sicurezza, sognò amore, vicinanza, calore, e contemporaneamente seppe, sognando, di essere un anormale cui non sarebbe mai stato concesso un linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai amore, mai vicinanza, mai calore, sognò come gli esseri umani sognano degli dei, con tristezza d’uomo l’uomo, con tristezza d’animale il minotauro”. Ma non è tutto perduto. Enzo Bianco, uomo di fede, trova conforto e soluzione nella religione. La parte più profonda ed intima del labirinto espositivo si conclude con una “Passione” e una “Deposizione” che aprono una porta alla speranza di rinnovamento. Il ripercorrere a ritroso la mostra assume valenza simbolica, come un filo di Arianna, alla riscoperta del proprio “dasein”; entrati come minotauro inconsapevole si esce come Teseo, artefici consapevoli del proprio destino.

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