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Scuola Medica Salernitana: passato, presente e futuro

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La leggenda vuole che la Scuola Medica Salernitana sia nata dall’incontro fortuito, durante un temporale, di quattro viandanti, Pontus, Salernus, Helinus ed Abdela, rispettivamente un greco, un latino, un ebreo ed un arabo. E’ evidente il significato metaforico del racconto: quattro culture si incontrano e trovano un punto d’incontro, proprio quando quello che avrebbe potuto essere un contrasto (il temporale) diventa un momento unificante. A secoli di distanza, nella fase di riproposizione in chiave moderna della mentalità innovativa e scientifica della tradizione medica salernitana, viene spontaneo chiedersi chi siano i quattro pellegrini e da quale condizione critica debbano trovare un momento unificante. Difficile pensare che siano ancora le quattro culture di allora, non solo perchè alcune in aperto ed inconciliabile contrasto, ma anche perchè altri mondi ed altri approcci metodologici alla medicina potrebbero essere chiamati in causa, basti pensare alle culture orientali, cinese e indiana, solo per citarne le più note.  E’ più facile pensare che i quattro approcci moderni si chiamino Ospedale, Università, Territorio, Nuove Professioni Sanitarie. E’ solo dall’incontro collaborativo e rispettoso delle altrui competenze che si può pensare di rinnovare i principi della Scuola Medica Salernitana. Laddove dovesse essere escluso o posto in condizioni di subalternità uno qualsiasi dei protagonisti si otterrebbe solo una “casa vuota”, buona per scopi estranei a quelli della medicina orientata al benessere delle persone.
Non può dominare l’Ospedale, con vocazione soprattutto all’emergenza, spesso costretto ad  un intervento di elevato costo, utilizzato anche per patologie curabili al domicilio e che, di solito, non è abituato alla ricerca e alla didattica. Nè può restare in secondo piano, proprio perchè molte patologie sono affrontabili solo in regime di ricovero e, almeno in Campania, solo i grossi ospedali, Cardarelli, Ruggi d’Aragona e pochi altri, hanno consolidata esperienza nella gestione pratica di queste problematiche.
Nemmeno può dominare l’Università, il cui compito precipuo e distintivo dall’Ospedale è la didattica mentre ha difficoltà oggettive e note ad affrontare esigenze di salute che richiedono tempi e luoghi specifici. Al tempo stesso non può essere trascurato il fatto che la spinta propulsiva all’innovazione in medicina, alla revisione critica delle abitudini procedurali, alla ricerca di base proviene prevalentemente dall’Università.
Tantomeno può dominare il Territorio proprio per le sue caratteristiche, con tendenza alla difficoltà della comunicazione tra i vari soggetti dell’assistenza sanitaria e alla ridotta disponibilità di procedure strumentali per la gestione di casi complessi. Nel contempo il territorio è lo sbocco naturale per l’assistenza di persone che spesso subiscono ricoveri prolungati proprio per la mancata interazione con l’Ospedale.
Le Professioni Emergenti sono già da ora, di fatto, importanti per l’approccio alla persona in aspetti di solito non trattati dai medici. Non a caso l’accesso a queste professioni richiede l’acquisizione di un titolo accademico. Psicologi, fisioterapisti, infermieri e le varie figure tecniche sono determinanti, singolarmente e in concerto con il team di cura. Trascurare la loro importanza o, peggio, impedirne il coinvolgimento nella programmazione, gestione e verifica dei percorsi assistenziali significa scadimento delle cure dei pazienti, non apprezzamento della loro consolidata esperienza e scientificità dell’intervento, la perdita della qualità del lavoro interdisciplinare.
Nei giorni scorsi è stata pubblicata sul sito dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni e Ruggi d’Aragona – Scuola Medica Salernitana (link) la bozza di Atto Aziendale, ovvero il documento che stabilisce la mission di quella che si candida a voler riprendere la tradizione della scuola medica. E’ un documento corposo ed articolato che sarà oggetto di osservazioni, note e modifiche correttive. Per molti è già evidente, e non condiviso, il dato che sia stata elaborata una forte gerarchizzazione delle competenze e dell’attribuzione degli incarichi con una pericolosa contrapposizione tra Ospedale e Università. Ma se di questo è opportuno che se occupino altri ed in altre sede non si possono non sottolineare alcuni passaggi relativi al Territorio: articolo 33, comma 1 “L’Azienda favorisce tutte le iniziative tese all’interoperatività con il territorio”, da realizzare attraverso il Dipartimento Integrato delle Emergenze (articolo 33.1) che ha, tra le sue competenze, il “garantire la realizzazione di percorsi territorio/ospedale per le patologie a più alta incidenza di morbilità e mortalità (cardiovascolari, neurologiche, traumatiche, ecc.)” (comma 7). E ancora, nel Piano di Organizzazione Funzionamento Aziendale (link) alla voce Innovazione organizzativa dell’AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona: una città della salute a Salerno si legge che “i problemi connessi all’attuale contesto del SSN, […] il sottoutilizzo o l’utilizzo improprio di risorse nel sistema, impongono una reinterpretazione del rapporto territorio-ospedale, potenziando e riorganizzando l’offerta di prestazioni sul territorio, riservando l’assistenza ospedaliera sempre più alle patologie acute”. Questo modifica il tradizionale sistema di offerta sanitaria fondata prioritariamente sull’ospedale, a favore del territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario e si fa carico in modo unitario e continuativo delle necessità sanitarie e socio-assistenziali dei cittadini. La Regione Campania, negli atti di programmazione sanitaria, persegue un modello nel quale il territorio sia sempre più il luogo dove il cittadino trova strutture in grado di risolvere i propri problemi, così da ricorrere alla struttura ospedaliera solo per selezionate necessità. Il territorio deve sempre più rappresentare il primo accesso del cittadino alle cure. L’attuazione di tale principio viene demandata ai Dipartimenti Assistenziali Integrati di Neuroscienze e di Medicina cui si affida la mission, rispettivamente, di “perseguire l’integrazione con le strutture del territorio e riabilitative nell’obiettivo di mantenere la continuità assistenziale e favorire il recupero/mantenimento di abilità funzionali residuali” e “di garantire la continuità clinico assistenziale con le strutture del territorio” senza però individuare competenze specifiche o percorsi ben definiti, il che lascia spazio al timore che le buone intenzioni, possano finire per lastricare vie infernali.

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