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generale Neurologia

Sperimentazione sugli animali

Su Parkinsons Disease è stato pubblicato un articolo che potrebbe rapresentare una risposta definitiva alal domanda circa l’utilità delle sperimentazione sugli animali. I ricercatori affermano che, “nello scegliere un modello animale per la malattia di Parkinson idiopatica, si deve tener conto del limite di somiglianza o di divergenza fra la fisiologia, l’anatomia, il comportamento e la regolazione dell’espressione dei geni fra gli esseri umani e l’animale”.
I roditori ed i primati non umani sono utilizzati nella ricerca sul Parkinson perché quando viene indotta una condizione Parkinsonian imitano molte manifestazioni della forma idiopatica. Questi modelli sono stati utili nella comprensione dell’eziologia della malattia e forniscono i mezzi per verificare i nuovi trattamenti. Tuttavia, i modelli animali correnti spesso falliscono nel replicare la reale fisiopatologia umana così che i risultati dai modelli animali spesso non si traducono nella clinica.
In particolare l’utilizzo di tossine ambientali (6-OHDA, MPTP, paraquat, rotenone) pur riproducendo le alterazioni cellulari della malattia non riproduce la sintomatologia e la progressione del Parkinson. Inoltre la lesione viene provocata in acuto in ratti per lo più giovani laddove la malattia si presenta in maniera progressiva in persone per lo più anziane.
Il ricorso ad animali con mutazioni genetiche predisponenti al Parkinson pone diversi problemi e riserve metodologiche, non ultimo il fatto che la lesione non è progressiva e spesso si verifica durante l’embriogenesi.
Anche le “prove sul comportamento” per misurare i deficit dopamino-indotti presentano dei limiti. Queste prove in gran parte sono state dirette a valutare le abilità motorie/abilità innate degli animali, per collegare i cambiamenti osservati ai deficit motori osservati nei pazienti con Parkinson. Tuttavia, molte di queste prove richiedono che l’animale apprenda l’operazione. Non può essere quindi stabilito con precisione se eventuali perdite siano conseguenti ad un deficit motorio o ad un deficit dell’apprendimento.
Un’altra considerazione, che si applica a tutta la ricerca animale e che spesso è trascurata quando si interpretano i risultati, riguarda i fattori introdotti dallo sperimentatore nella routine del laboratorio. Per esempio, i roditori sono creature sociali per natura e seguono una gerarchia sociale di dominanza. Un maschio dominante spesso sopprimerà i suoi compagni di gabbia combattendo e/o custodendo l’alimento e l’acqua per stabilire la gerarchia. Le interazioni sociali di questo tipo possono condurre a cambiamenti nell’ingestione dietetica e nel comportamento generale, una situazione indesiderabile quando si esegue un esperimento sul comportamento. Gli animali possono anche identificare lo sperimentatore con l’odore (per esempio, profumi, colonie, shampoo, deodorante, saponi o lozioni), compreso quello del loro camice. Usando durante tutto l’esperimento lo stesso camice gli animali possono identificare lo sperimentatore ed essere più o meno sollecitati dalla loro presenza.
Altre considerazioni riguardano gli aspetti fisiologici. Anche se c’è moltissima somiglianza fra la fisiologia dei roditori e quella degli esseri umani, è chiaro che esistono differenze significative. Uno degli esempi più pregnanti riguarda la distinzione fra come gli esseri umani ed i roditori metabolizzano la MPTP. I ratti ed i topi sono relativamente resistenti a MPTP, mentre gli esseri umani sono abbastanza sensibili a questa tossina. Infine, vanno tenute in considerazione anche le differenze nella barriera ematoencefalica e nei fattori di trascrizione genica.

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