A tutt’oggi ancora non esiste un trattamento risolutivo in grado di agire sulla progressione di malattia. Tutte le terapie sono sintomatiche. Il trattamento è mirato soprattutto sui sintomi motori direttamente legati al deficit di dopamina e i farmaci cosiddetti dopaminergici (L-dopa e dopaminoagonsiti) sono quelli maggiormente utilizzati, sebbene accompagnati da possibili complicazioni sia precoci che tardive. Altri farmaci hanno un’azione indiretta o sono stati abbandonati oppure la loro efficacia non è stata documentata. L’approccio farmacologico è una questione delicata e controversa, “soprattutto in relazione alla scelta del farmaco iniziale da utilizzare in monoterapia, la decisione di utilizzare una combinazione di più farmaci, il momento opportuno in cui inserire un altro trattamento. La valutazione terapeutica si basa sulla valutazione clinica complessiva del paziente operata dal neurologo, che tiene conto non solo della disabilità clinica, ma anche delle necessità del singolo soggetto, in relazione all’età, all’attività lavorativa e al contesto sociale, sempre considerando il quadro di efficacia e sicurezza del singolo agente e lo stadio della malattia”. Di non trascurabile importanza la gestione dei sintomi non motori e non dopaminergici determinanti, specie nelle fasi più avanzate, per la disabilità e la qualità della vita del paziente. (disturbi del linguaggio, alterazioni del cammino, della postura e della stabilità posturale; disturbi neuropsichiatrici, del sonno, disautonomici, gastrointestinali, della sensibilità, della deglutizione e della salivazione). Su queste problematiche le evidenza scientifiche sono ancora più basse e limitate. Gli esperti continuano affermando che è “l’efficacia relativa dei vari gruppi di farmaci antiparkinsoniani deve essere studiata in diversi gruppi di età prima di poter elaborare una raccomandazione solida. Sono quindi necessari studi sperimentali e osservazionali su questo specifico tema al fine di poter ricavare prove utili da trasferire poi alla pratica clinica corrente”.
Segue la rassegna dei singoli farmaci: L-DOPA
- I pazienti con malattia di Parkinson allo stadio iniziale e sintomi motori possono essere considerati per il trattamento con L-dopa in combinazione con inibitori della dopa decarbossilasi. I disturbi del controllo degli impulsi (ICDs) sono poco frequenti con la L-dopa in monoterapia. L’uso di L-dopa e entacapone nelle fasi iniziali di malattia non è raccomandato per l’aumentata incidenza di discinesie rispetto alla L-dopa (A).
- Deve essere utilizzata la dose minima efficace di L-dopa per ridurre l’incidenze di eventi avversi (GPP).
AGONISTI DELLA DOPAMINA
- I pazienti con malattia di Parkinson allo stadio iniziale e sintomi motori possono essere considerati per il trattamento con agonisti della dopamina per via orale sia in formulazione tradizionale sia in formulazione a rilascio prolungato (extended release, ER) o transdermica (A).
- Gli agonisti della dopamina derivati dall’ergot non devono essere usati come prima scelta nel trattamento della malattia di Parkinson per il rischio moderato-grave di valvulopatia cardiaca e fibrosi pleurica, pericardica, retroperitoneale (GPP).
- Gli agonisti della dopamina sono associati a un incremento del rischio di disturbi del controllo degli impulsi (gioco d’azzardo patologico, binge eating, comportamento sessuale compulsivo e altri), sonnolenza diurna eccessiva rispetto al placebo (GPP).
INIBITORI DELLE MONOAMINO OSSIDASI B (MAO-B inibitori)
- I pazienti con malattia di Parkinson allo stadio iniziale e sintomi motori possono essere considerati per il trattamento con inibitori delle monoamino ossidasi (A).
- Non possono essere tratte raccomandazioni definitive sull’effetto degli inibitori delle monoamino ossidasi sulla modificazione del decorso della malattia (GPP).
ANTICOLINERGICI
- I farmaci anticolinergici non devono essere utilizzati come trattamento di prima linea in pazienti con malattia di Parkinson (A).
- Gli anticolinergici non devono essere somministrati a pazienti con comorbilità come deterioramento cognitivo o malattie psichiatriche clinicamente significative (GPP).
AMANTADINA
- Non ci sono prove sufficienti a supportare l’uso di amantadina nel trattamento di pazienti con Parkinson iniziale.
COENZIMA Q10
- Il coenzima Q10 non è utile nel trattamento della malattia di Parkinson (B).
TOCOFEROLO (VITAMINA E)
- Il tocoferolo non è raccomandato per la neuroprotezione in pazienti con Parkinson iniziale (A).
OMEGA 3
- Non ci sono prove sufficienti per raccomandare il trattamento con omega 3 nella malattia di Parkinson.
- L’intervento dietetico con redistribuzione o riduzione dell’apporto proteico può essere consigliato inpazienti con complicanze motorie solo da nutrizionisti in stretta collaborazione con neurologi esperti in disordini del movimento. (GPP)
Il panel ritiene anche che in considerazione dei risultati raggiunti sono auspicabili studi comparativi più ampi e di maggiore durata per definire in modo più affidabile la qualità della vita dei pazienti e il bilancio rischi-benefici degli agonisti della dopamina e MAO-B inibitori rispetto alla L-dopa nella fase iniziale della malattia, nonché studi comparativi tra gli stessi agonisti della dopamina o tra MAO-B inibitori. Inoltre è necessario approfondire i dati relativi alla progressione della malattia misurata in base al punteggio di UPDRS. Ciò implica la necessità di implementare sempre più disegni di RCT a trattamento ritardato che prevedano l’uso di indicatori di progressione di malattia validati e accurati. Infine sono necessari studi sperimentali e osservazionali con adeguato follow up per acquisire prove sui tre possibili scenari riportati nel quesito: a) prescrizione immediata del trattamento; b) attesa di un anno o più; c) posticipazione del trattamento fino all’insorgenza di un deficit funzionale. Vengono altresì sollecitati studi sulla possibile efficacia di coenzima Q10, omega 3 e vitamina D nel trattamento della malattia di Parkinson.
In estrema sintesi il gold standard della terapia resta la L-DOPA con le varie possibili formulazioni terapeutiche ed in associazione agli inibitori delle decarbossilasi. I dopaminoagonisti hanno perso buona parte del “fascino” degli scorsi anni a causa di allora sconosciuti effetti collaterali ma restano una valida alternativa o integrazione. Non c’è unanimità su quando e come iniziare la terapia. Altri farmaci sembrano avere efficacia ancillare se non assente.