La storia dell’amiloide (link) si avvia a conclusione riservando delle sorprese. Come in un ricorso storico le osservazioni iniziali non sembrano essere poi tanto lontane dalla realtà dei fatti.
La genetica ha dimostrata con quasi assoluta certezza che in qualche modo l’aggregazione di ß-amiloide porta alla malattia di Alzheimer. Le fibrille nelle placche erano il tipo di aggregato più evidente e quindi era ovvio sospettare che fossero le responsabili. Solo dopo che l’ipotesi placca ha iniziato a fallire i ricercatori hanno ripreso gli studi sugli altri aggregati: gli oligomeri di ß-amiloide osservati per la prima volta da Beyreuther e dai suoi colleghi a Colonia.
Nella prima metà degli anni 1990, Charles Glabe presso la University of California e Dennis Selkoe presso la Harvard University hanno riferito di aver trovato oligomeri in corso di esperimenti con ß-amiloide. A loro avviso si strattava di composti intermedi di breve durata nel corso della formazione delle fibrille, piuttosto che a tutti gli effetti i responsabili della malattia. Ma nel 1998 dal laboratorio di William Klein della Northwestern University di Evanston è stato ipotizzato che gli oligomeri potrebbero essere i veri responsabili della malattia di Alzheimer. Quando il team di Klein ha aggiunto una sostanza chimica ad una soluzione di ß-amiloide per fermare la formazione di fibrille, la ß-amiloide invece di formare oligomeri ha iniziato a uccidere i neuroni vicini. Almeno una parte di questa tossicità sembrava essere dovuta all’effetto degli oligomeri sulle sinapsi, con la compromissione della loro capacità di contribuire all’apprendimento e alla memoria. Risultati simili furono ottenuti da altri laboratori e, nel tempo, anche modelli murini hanno dimostrato la tossicità da oligomeri.
Negli anni 2000 ha cominciato ad emergere un nuovo concetto: le fibrille di ß-amiloide di per sè sono poco tossiche ma sembrano provocare infiammazioni dannose e sono soggette, soprattutto quando la placche diventano particolarmente dense, a rilasciare ß-amiloide solubile, che possono quindi riformarsi in oligomeri. Ma in questo modello gli oligomeri di ß-amiloide sono le neurotossine più preoccupanti. Infatti, le fibrille di ß-amiloide probabilmente sono protettive nella misura in cui intappolano gli aggregati di ß-amiloide in una forma meno dannosa.
Allo stato attuale si ritiene che gli oligomeri di ß-amiloide esercitano i loro effetti dannosi legandosi direttamente alle membrane dei neuroni, oppure a recettori specifici, i più sospettati sono recettori del glutammato, NMDA e dell’insulina, necessari per la segnalazione neuronale. Ma se gli oligomeri di ß-amiloide fossero soltanto tossici per i neuroni, non potrebbero mai sopraffare i meccanismi di riparazione dei cervello e causare la malattia. Per fare ciò pare debba esserci bisogno di un’altra proprietà deleteria che è associata ai prioni: l’infettività.
L’idea che la malattia di Alzheimer possa essere una malattia da prioni è stata suggerita nel 1984 dal futuro premio Nobel Stanley Prusiner dell’Università della California a San Francisco. La sua idea fu energicamente respinta dopo la scoperta che la ß-amiloide è diversa dalla proteine dello scrapie. Ma da metà degli anni 2000 si è evidenziato che l’ipotesi di Prusiner era sostanzialmente corretta. Sia la ß-amiloide che le proteine della malattia da prioni potrebbero precipitare in uno stato che è sia tossico che auto-replicante.
Prusiner, anche lui presente alla cena in Scozia con Masters e Beyreuther, in apparenza si sbagliava circa il meccanismo di replicazione. Egli aveva inizialmente proposto che un prione infettivo è un monomero proteico con una forma mal ripiegata che possa indurre il misfolding stesso nelle versioni normali della proteina. Ma, come ha poi dimostrato il chimico Peter Lansbury in una serie di esperimenti in vitro condotti presso il Massachusetts Institute of Technology a metà degli anni 1990, la chiave dell’auto-replicazione nelle malattie da prioni e nella malattia di Alzheimer sembra essere un oligomero, non un monomero. Una volta formato, l’oligomero diventa un modello, o ‘seme’, che attira nuovi monomeri e l’aggregazione intorno a questo nucleo procede rapidamente. “Questo è uno di quei fenomeni non lineari in cui piccoli cambiamenti possono avere grandi effetti”, dice Lansbury, ora chief scientist di Link Medicine, una società di biotecnologie di Cambridge nel Massachusetts. Un nucleo funzionerebbe da modello per nuovi oligomeri. Un altro causerebbe il mancato allungamento delle fibrille. Lansbury ha dimostrato che questo evento di nucleazione iniziale avviene più velocemente con un tratto particolarmente appiccicoso di aminoacidi trovati sia sulle le proteine prioniche che sull’Aß42. L’aggiunta di questo tratto di Aß42, o anche l’aggiunta di un intero tratto di Aß42, può innescare l’aggregazione di tutta la ß-amiloide nelle vicinanze. La metafora della neve di Beyreuther era appropriata: un fenomeno di nucleazione simile si trova nel cuore del ghiaccio e della cristallizzazione della neve..
Più recentemente, Jucker e altri hanno dimostrato che materiale cerebrale contenente ß-amiloide di pazienti Alzheimer può indurre la formazione di placche nei topi. La ß-amiloide è meno resistente delle proteine prioniche sicchè è molto meno probabile la trasmissione da una persona ad un’altra, ma sembra a diffondersi come un’infezione all’interno dei tessuti.
Analoghe proprietà infettive sono state osservate per aggregati di proteina tau, che appaiono tardivamente nella malatti di Alzheimer, come pure per l’alfa-sinucleina nel Parkinson. I ricercatori sospettano che molte altre malattie legate all’amiloide sono caratterizzate dagli stessi meccanismi tossici oligomerici e comportano una lenta diffusione della patologia a partire nelle regioni del cervello più vulnerabili al disturbo. “Sappiamo, per esempio, che le persone che presentano segni motori di Parkinson quasi sempre presentano demenza 20 anni dopo. Al contrario, la malattia di Alzheimer colpisce la memoria e le funzioni cognitive abbastanza precocemente.
In linea di principio, secondo Beyreuther, ci potrebbero essere strutture proteiche nel nostro cibo, aria e acqua che entrano nel cervello e provocano la malattia in una spirale di aggregazione proteica”come quel poco di polvere che forma i cristalli di ghiaccio alle finestre” dice. “Se questo fosse vero, allora siamo nei guai.”