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Siamo tutti migranti

Molti anni fa una coppia di perseguitati politici e religiosi depositò in una cesta, che fu affidata ad un fiume, il loro bambino. La dolorosa separazione era l’unica alternativa ad una morte certa. Fortuna volle che venisse trovato dalla figlia del governatore che lo adottò e gli diede quella prosperità che gli mancava. I turbolenti eventi successivi lo resero leader di quegli emarginati da cui proveniva e gli consentirono di condurli, non senza problemi, alla Terra Promessa. Quel bambino era Mosè, salvato dalle acque del fiume NIlo

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Le immagini di questi giorni, con bambini che nelle acque trovano la morte, mi hanno fatto tornare alla mente l’episodio biblico. Ancora una volta povertà, emarginazione, persecuzione costringono persone incolpevoli a dolorose separazioni. Non deve essere facile veder partire un proprio figlio, senza nessuna garanzia di salvezza, col timore che questi, come purtroppo spesso accade, possa morire.
Noi non siamo il faraone che li costringe a questa scelta. Piuttosto rappresentiamo la Terra Promessa e non possiamo rifiutarci di accoglierli, di dare loro una possibilità di Salvezza. Questi nuovi Mosè, così come nella Bibbia, sapranno dare un contributo non indifferente anche al mantenimento del nostro benessere e, se sapremo rispettare la loro cultura, la loro identità di popolo, il loro status di fuggitivi eviteremo anche le “dieci piaghe di Egitto”.
Non si può non essere solidali, perché siamo tutti migranti

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