Finzione letteraria e realtà spesso vanno a braccetto e, come nel caso di Edouard Levé, si può rimanere sconcertati di come finiscono con il coincidere tragicamente. Il libro parla del suicidio di un amico avvenuto vent’anni prima e viene consegnato all’editore circa dieci giorni prima di quello dell’autore. Inspiegabile, immotivato eppure descritto anche nei particolari. Ancora più sconcertante il mancato “effetto Werther”. Il timore dell’effetto imitativo sulle prime creò delle forti perplessità circa l’opportunità di pubblicare il testo. Ma non avvenne nulla di tutto questo. In ogni caso la lettura del libro consente di comprendere appieno la “base” in cui spesso agisce la decisione di farla finita: la ciclotimia.
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Una risposta su “Il suicidio nella letteratura”
“Soltanto i vivi sembrano incoerenti. La morte suggella la serie di eventi che costituiscono la loro vita. A quel punto ci si industria a trovargli un senso. Negarglielo significherebbe accettare che una vita, quindi la vita, sia assurda”