Un articolo pubblicato su Nature Medicine (link) Ha evidenziato come un farmaco biologico, l’ustekinumab, già ampiamente utilizzati per trattare la psoriasi può essere in grado di rallentare l’accumulo di placche amiloidi nel cervello delle persone con Alzheimer. Lo studio è stato condotto su ratti portatori delle lesioni tipiche dell’Alzheimer. Trattati con il farmaco presentavano un un netto miglioramento delle funzioni cognitive. E’ stato dimostrato, con altri studi, che nelle persone con Alzheimer l’accumulo di beta-amiloide nel cervello può scatenare una reazione immunitaria, compreso il rilascio di due proteine note come interleuchina-12 e l’interleuchina-23. Queste due sostanze chimiche, chiamate anche IL-12/23, inviano una molecola di segnalazione, la P40 che aumenta l’infiammazione in tutto il cervello e provoca l’accumulo di particelle di beta-amiloide che circolano sotto forma di placche che, a loro volta, interrompono la trasmissione neuronale cerebrale e sembrano causare il declino della memoria e delle funzioni mentali tipiche dell’Alzheimer Da qui l’idea guida del lavoro che ha cercato di sopprimere IL-12/23 bloccando la P40. Quando ciò veniva praticato in ratti giovani geneticamente programmati per sviluppare l’Alzheimer si è visto che la produzione di placche amiloidi si riduceva del 31% rispetto ai ratti che ricevevano il placebo. L’infusione per 60 giorni di anticorpi anti P40 in ratti con malattia di Alzheimer conclatmato ha ottenuto, rispetto al placebo un netto miglioramento nei test di memoria e di funzione cognitiva e, pur in presenza di placche amiloidi si evidenziava la minor presenza di beta-amiloide nel cervello
Lo studio conferma il possibile ruolo dell’infiammazione nello sviluppo della malattia di Alzheimer ed offre un barlume di speranza alla ricerca di una terapia che potrebbe arrestare o invertire il processo irreversibile di perdita neuronale. Va comunque tenuto presente che quanto sembra agire nei modelli animali di malattia di Alzheimer non sempre hanno trovato un corrispettivo nella sperimentazione umana e che, per quanto il farmaco sia promettente, non sappiamo a quale dose o sotto quale forma di somministrazione potrebbe essere sicuro ed efficace per gli esseri umani.