Contorta e confusa la situazione del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Molto, troppo, penalizzati gli studenti che, nei giorni scorsi, non hanno potuto utilizzare le aule messe a disposizione dall’Azienda Ospedaliera per l’attività didattica. In apparenza sembrerebbe esserci una contrapposizione tra favorevoli all’Università e non. In realtà il problema è molto più complesso e vede, al momento, vittime sacrificali, gli studenti in Medicina. Altre “vittime” corrono il rischio di passare, ancora una volta, in secondo piano: i pazienti. Quanti si rivolgono all’Ospedale per soddisfare i propri bisogni di salute. Non all’Azienda Ospedaliera o all’Università o a parti dell’una o dell’altra bensì all’Ospedale come luogo di cura e, purtroppo, allo stato unica realtà cui possono rivolgersi ventiquattrore su ventiquattro, in un contesto di feroci e continui tagli alla Sanità e di obblighi per chi vi opera di dover spendere sempre di meno.
Per tornare alla “querelle Medicina”c’è un passaggio obbligato, troppo a lungo rinviato: il decreto di istituzione della Azienda Ospedaliera Universitaria. Solo questo adempimento potrà definire i confini e le competenze, con particolare riguardo all’integrazione ospedale università e alle nomine dei direttori: generale, di dipartimento e di struttura complessa; le articolazione e il finanziamento della spesa. Non è solo questione di aule e di didattica, ma anche di biblioteca (anche i medici dipendenti studiano e spesso lo fanno con grande sacrificio, di tempo ed economico), di mensa (provasse qualcuno a pranzare in qualsiasi giorno feriale ad un orario “civile”: file interminabili e pochi posti a sedere), di parcheggio (non hanno idea in Regione di come sarebbe utile la metropolitana leggera, che sta rapidamente deteriorandosi per mancato utilizzo, e dei tempi biblici che occorrono per “non trovare” un posto libero per la propria autovettura).
Da non trascurare nemmeno che negli ultimi due anni la doverosa integrazione Ospedale Università non è stata mai regolamentata ed è stata lasciata ai singoli casi, ispirata ai principi, non sempre rispettati, di reciproca buona educazione, spesso condizionata da preesistenti buoni rapporti interpersonali. Da ospedaliero posso affermare che in maniera diffusa abbiamo dato il nostro contributo, magari modesto, ma convinto ed appassionato. L’auspicio è che altrettanto sia stato fatto da parte degli universitari, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza, soprattutto nell’emergenza, drammatica realtà catalizzatrice della maggior parte delle richieste prestazionali.
Magari con l’applicazione attenta e compartecipata del documento del Ministero della Sanità, dipartimento della Qualità, Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, dei Livelli di Assistenza e dei Principi Etici di Sistema pubblicato nell’aprile 2011 (link) e dall’eloquente titolo Dipartimenti per il Governo Clinico e l’Integrazione tra Assistenza, Didattica e Ricerca con particolare riguardo alle norme emanate dal Decreto Legislativo 517/99. Interessante notare che, per quanto riguarda la regione Campania, nel documento veniva tralaltro rilevata, in relazione agli obiettivi del Direttore Generale delle allora due Aziende Universitarie, l’esistenza di un conflitto tra competenze dell‟università e competenze della regione, ravvisando un caso di “prevaricazione” sui poteri regionali. Infatti, in contrasto rispetto a quanto disposto dalla normativa nazionale, “gli obiettivi relativi all’attività assistenziale, coerenti sia con la programmazione delle attività didattico-scientifiche della facoltà di medicina e chirurgia sia con la programmazione sanitaria regionale, vengono assegnati dal Rettore al Direttore Generale” e anche “i criteri di valutazione dell‟attività del Direttore Generale sono definiti dal Rettore”. Anomalia, questa, che ci si augura non abbia a ripetersi con l’istituenda Azienda di Salerno. Purtroppo la tendenza nazionale comune a tutti i protocolli era, e tale è rimasta, ad operare rimandi continui ad ulteriori accordi regionali o locali, che “non sembrano rappresentare una determinazione ad innovare o a regolare con maggiore puntualità tematiche già trattate da fonti di rango superiore, e neanche uno strumento per garantire autonomia e discrezionalità alle aziende sanitarie negli ambiti propri”. Questa sintomatica “difficoltà a definire e modellare le disposizioni di principio statali” oggi sembra colpire la didattica, da sempre penalizza l’assistenza e non favorisce la più logica e semplice delle soluzioni: collaborare a migliorare le 5 E della sanità: efficienza, efficacia, equità eticità ed economicità.