E’ un bollettino di guerra. Non passa giorno che la cronaca nazionale e locale non sia occupata da fatti anche drammatici che coinvolgono i nostri Pronto Soccorso. Non sono episodi occasionali o legati all’emergenza stagionale. Piuttosto la conseguenza della crisi del sistema sanitario, soprattutto nelle regione meridionali, sottoposte a tagli (personale, posti letto, finanziamenti), e del “fallimento, nelle nostre regioni del Piano territoriale, per deospedalizzare l’assistenza a cronici e lungodegenti”.
«Il fatto – osserva il segretario della Fp-Cgil Medici Massimo Cozza – è che i Pronto soccorso rappresentano il punto nevralgico del sistema ed è qui che le disfunzioni si sentono maggiormente. Le cause? I Piani di rientro per varie Regioni, come Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio – spiega Cozza – se prevedono da un lato la chiusura dei piccoli ospedali, non prevedono però il contemporaneo potenziamento dei servizi sul territorio. Il risultato è dunque il congestionamento dei pronto soccorso dei grandi ospedali rimasti come punti di riferimento per i cittadini».
Da noi il sistema sta reggendo. Il colpo è però durissimo. Certo non abbiamo persone sulle sedie o sulle scrivanie, le ambulanze non devono lasciare le loro barelle in P.S. sì da non poter continuare il loro lavoro, ma il carico è diventato insostenibile. Un giorno, o una notte di guardia, sono faticose sia fisicamente che psicologicamente. Arriva di tutto e chiunque chiede una soddisfazione immediata con soluzione definitiva del loro problemo. A prescindere dalla natura intrinseca della prestazione richiesta. Il sistema territoriale è saltato tout-court e diventa difficile gestire tutto al meglio. Le tensioni sociali trovano in questo momento delicato dell’accesso in P.S. la loro espressione. E’ indispensabile rivedere l’intero impianto dell’emergenza.