Ricorre oggi la Giornata Mondiale dell’Alzheimer. Numerose e di grande impatto le iniziative su tutto il territorio nazionale (link). Tutti gli eventi hanno in comune lo scopo di informare e sensibilizzare sulla malattia.
Purtroppo a Salerno la concomitante festività patronale mette la sordina ad una malattia già troppo “dimenticata”.
Si spera che l’iniziativa di MotoPerpetuo nell’ambito del progetto “Non dimentichiamo chi dimentica” possa servire almeno a non far sentire soli ed abbandonati quanti sono costretti a convivere con l’Alzheimer (pazienti, familiari, caregiver).
Dalla prefazione del libro dei ricordi, il mio contributo all’argomento: “Il raccontare, se stessi, gli altri, la propria vita trova nel ricordo il fondamento indispensabile per il suo svolgimento. La memoria è l’hardware, la base indispensabile senza la quale tutto sarebbe fantasia. Anche la medicina necessita del racconto, l’anamnesi che caratterizza in tutte le sue fasi l’interazione tra l’uomo-paziente e l’uomo- medico. Ė dal raccontarsi delle vicende recenti e remote, della propria famiglia, delle abitudini di vita, di tutte le informazioni che prende corpo la diagnosi, non più etichetta nosologica a se stante ma manifestazione particolare di una malattia in quella particolare persona in quel particolare momento. In pratica la personale linea temporale della propria esistenza rende l’approccio dinamico e aiuta, se ben utilizzata, a meglio definire quel percorso terapeutico che ha condotto alla richiesta d’aiuto professionale. Ma non sempre ė così. Spesso ci sono omissioni, cancellazioni, deformazioni del ricordo. In qualche caso la memoria storica diventa così fragile e limitata che solo l’aiuto di un terzo consente la ricostruzione della propria vicenda vitale. Tanto succede nell’Alzheimer, malattia devastante, legata in maniera molto stretta all’invecchiamento e perciò in costante aumento. Le conseguenze sono evidenti a quanti hanno avuto modo di diversi cimentare con le demenze. Quanto più manca una funzione, dapprima la memoria poi anche le altre funzioni, tanto più aumenta l’impegno, la frustrazione, lo sconforto, il senso di solitudine e di emarginazione sociale. L’Alzheimer diventa una malattia sociale, collettiva, a cerchi concentrici: il caregiver, la famiglia stretta e i parenti vicini, gli amici. Tutti finiscono con il venirne coinvolti. A livello personale, specie per quelli più distanti, la soluzione ė facile: scappare, evitare il contatto con la malattia, istituzionalizzare il paziente sono tutte strategie d’uscita che lasciano vittime sul campo: il paziente, il caregiver e, moralmente, anche il fuggitivo. Eppure basta poco per rendere meno pesante la giornata Alzheimeriana: ricorrere a strategie di comunicazione alternative, realizzare quella che da alcuni é stata definita la felicità relazionale, riappropriarsi delle proprie emozioni che anche nel paziente restano a lungo conservate. Ė così che il racconto, quel racconto cui si faceva riferimento in esordio, diventa elemento importante ed assume valenza terapeutica per tutti noi. I racconti di questa raccolta sono tutti reali, riportano tutti una “ordinaria” descrizione delle perdite patite. Per alcuni riguardano un passato a contatto con propri familiari. Per altri il quotidiano logorante impegno assistenziale. In tutti si respira un’aria di grande responsabilità. Anche quando viene espresso o fatto trapelare un sentimento di rabbia o stanchezza o disperazione si registra una grande dignità ed il rispetto per l’altro e per se stessi