Dagli attuali 230mila pazienti con Parkinson in Italia la previsione è che da qui al 2030 gli ammalati sarano circa mezzo milione. Di questi un 5% con età inferiore ai 50 anni. Da qui la necessità di un percorso assistenziale che vede la collaborazione di diversi professionisti nelle varie fasi della malattia. E’ infatti ragionevole supporre che il paziente incontri, nell’arco della sua storia clinica, svariate figure mediche. Non solo neurologo e medico di medicina generale, ma anche geriatra, fisiatra, neurofisiologo, neuroradiologo, psichiatra, neurochirurgo, ortopedico, urologo, nutrizionistae genetistìa come pure altre figure professionali socio-sanitarie quali fisioterapista, logopedista, terapista occupazionale, psicologo, infermiere, assistente sociale) che operano. E’ frequente che questi lavorino in autonomia e in modo non coordinato. A questo propostio le Linee Guida esprimono il concetto che “in un sistema di gestione integrata della malattia di Parkinson, il neurologo esperto in disordini del movimento ha un ruolo centrale e vitale. Questo neurologo ha necessità di coordinarsi con gli altri professionisti socio-sanitari per migliorare la qualità di assistenza complessiva da fornire al paziente”. Non meno importante la figura del medico di medicina generale che spesso è il primo ad avere notizia e consapevolezza delle problematiche del paziente tanto piu che la malattia di Parkinson è la terza per numero di contatti/paziente/anno subito dopo cardiopatie ischemiche e diabete mellito e prima di patologie più frequenti nella popolazione generale (fibrillazione atriale, scompenso cardiaco congestizio, ipertensione arteriosa)
Ben venga la premessa circa l’organizzazione del lavoro da effettuare nella gestione della malattia e la necessità di un percorso organizzato e coordinato. Ancora più sarebbe stata apprezzabile una considerazione meno medico-centrica e più attenta ai bisogni, del paziente. Il rischio, tralaltro spesso misconosciuto, è quello di un medico e di una medicina incapaci di ascoltare, presi da altre incombenze che, pure importanti, sono comunque ancelle della persona paziente. Dal punto di vista tecnico sarebbe stato utile esporre uno o più modelli di sistemi di assistenza a rete già esistenti ovvero proporne di propri. D’altronde è quanto si sta cercando di realizzare in altre condizioni, anche neurologiche, non meno invalidanti. Il criterio potrebbe essere quello di un hub e spoke modificato, con realizzazione di centri regionali o interregionali dotati di strumentazioni per indagini di secondo livello e ricerca scientifica cui possono afferire i pazienti, provenienti dal territorio e gestiti dal territorio. Il fenomeno della migrazione sanitaria è ancora consistente e prevalente al Sud, coinvolge soprattutto i pazienti in fase iniziale o con sintomatologia lieve. Del tutto assenti, sempre al Sud, modelli di assistenza territoriale mirati sui fabbisogni della persona con malattia avanzata ed ai loro familiari. Il tutto nel rispetto del diritto della persona a scegliere da chi e dove essere curato.