Per molti aspetti, soprattutto biologici e sociali, è evidente che tra maschi e femmine esistono espressioni diverse della malattia di Parkinson. In generale i maschi presentano una maggiore incidenza della malattia di Parkinson rispetto alle femmine (RR = 1,5). Tuttavia rigidità, instabilità posturale e discinesie indotte dalla levodopa sono più frequenti nelle donne e queste fluttuazioni influiscono sulle prestazioni motorie e sulle capacità funzionali. La rivista Maturitas ha pubblicato (link) una revisione sistematica della letteratura sull’argomento ed evidenzia come ci siano pochi lavori sull’argomento e come sia sottovalutata l’influenza delle capacità fisiche nelle donne con malattia di Parkinson, specie in relazione alle attività della vita quotidiana e alla qualità di vita. In particolare sono stati presi in considerazione dodici lavori che tenevano conto delle differenze di genere per un totale di 302 pazienti, con età media di 65,5 ± 8,3 anni, di cui il 44% femmine. Si è così visto che le donne ammalate presentano un’andatura diversa rispetto alle femmine sane di pari età e ai maschi parkinsoniani. Anche il freezing è più evidente e l’equilibrio dinamico è ridotto nelle femmine rispetto ai maschi con malattia di Parkinson. Gli studi nel complesso sono stati valutati di qualità moderata (20 ± 5.4/32) e gli studi futuri dovrebbero tener conto di una migliore randomizzazione anche per quanto riguarda il sesso al fine di comprendere la presenza e l’importanza delle differenze di genere.
L’interesse, e l’importanza, dell’articolo derivano dal fatto che gli autori hanno tenuto in considerazione un aspetto spesso trascurato in tutti gli studi clinici: la differenza di genere. Uomini e donne hanno pattern biologici differenti che si estrinsecano in molte malattie ed anche nella risposta alla terapia. Tenerne conto diventa obbligatorio non solo per ragioni di motivo scientifico ma anche e soprattutto per ragioni etiche. Anche così si può evitare la discriminazione.