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Demenza: un problema per la nostra epoca (2/2)

Continuando l’esposizione iniziata ieri (link) i dati epidemiologici dicono pure che poco meno della metà delle persone con demenza vivono nei paesi ad alto reddito, il 39 % vive in paesi a medio reddito, e solo il 14 % vive in paesi a basso reddito. Ma queste proporzioni sono soggette a cambiare radicalmente nei prossimi decenni, in particolare nei paesi in rapido sviluppo come Cina e India, per due importanti ragioni.

La prima ragione è demografica. Nella compilazione del rapporto Mondiale è stato osservato che la prevalenza delle demenze in persone di età superiore ai 60 anni è abbastanza uniforme in tutto il mondo, tra il 5% e il 7%. L’aumentare degli standard di vita in paesi come India e Cina porterà ad una maggiore aspettativa di vita. Dato che il maggiore fattore di rischio per la demenza è l’età più vive a lungo la popolazione mondiale, più ci saranno persone con demenza. Il rapporto prevede che il numero di persone affette da demenza raddoppierà all’incirca ogni 20 anni, 65,7 milioni nel 2030 e 115,4 milioni nel 2050. La maggior parte di questo aumento sarà nei paesi in via di sviluppo.

In secondo luogo, con l’aumento dei salari, aumenterà la domanda per maggiori e costose cure professionali anche. Almeno questo è ciò che è accaduto nei paesi più ricchi, dove l’epidemia di Alzheimer si è presentata prima. Soprattutto la Cina ha motivo di preoccuparsi: la politica del figlio unico è entrata in vigore nel 1978, il che significa che i genitori che raggiungono la vecchiaia nei prossimi 20 anni non potranno essere in grado di contare su assistenza domiciliare.

Non ci sono analisi dettagliate per altre malattie croniche. Un rapporto inglese del 2010 ha stimato che il costo annuale nazionale delle demenze è di 23 miliardi di sterline, quasi il doppio rispetto al cancro (12 miliardi) e molto di più rispetto alle malattie cardiache (8 miliardi) e all’ictus (5 miliardi). Sfortunatamente l’assegnazione dei fondi pubblici di ricerca a queste malattie non riflette questa gerarchia. Nel 2008, la spesa pubblica nel Regno Unito per la ricerca sul cancro era 12 volte superiore rispetto alle demenza. Negli Stati Uniti, il National Institutes of Health spende 13 volte di più sul cancro che sulle demenze tipo Alzheimer. Alcune nazioni si stanno attrezzando per affrontare la demenza su più fronti. Ad esempio nel 2009 la Germania ha aperto a Bonn il Centro tedesco per le Malattie Neurodegenerative (DZNE) con un costo di 66 milioni di euro all’anno.

Ma questi ricercatori saranno mirando ad un obiettivo esasperante ed inafferrabile. Le questioni fondamentali sulla malattia, quale la sua causa principale e i criteri diagnostici, rimangono senza risposta. L’etichetta “malattia di Alzheimer” per descrivere la demenza non è stata ampiamente usata fino al 1976, quando Robert Butler ha coniato il termine, in parte per rendere facilitare la capacità di attrarre i fondi per la ricerca sulla condizione. All’epoca la sindrome in cui alcuni anziani diventavano smemorati e infantili era conosciuta come demenza senile e non era vista come una malattia che potrebbe essere prevenuta o curata, ma come parte integrante dell’invecchiamento.

Oggi si sa che la forma più frequente di demenza, quella di Alzheimer, è dovuta all’accumulo di β-amiloide nel cervello, anche se il meccanismo non è ancora del tutto chiaro. Un’altra forma di demenza con sintomi simili è dovuta ad una patologia vascolare che tralaltro spesso coesiste con la malattia di Alzheimer Uno studio del 2011 su 450 cervelli di persone decedute con demenza ha mostrato sofferenza vascolare nei 4/5 dei pazienti e placche in quasi tutti). Lo stesso studio ha anche rilevato che tre quarti degli individui senza demenza avevano una patologia vascolare e alcuni di quelli più anziani hanno mostrato un significativo numero di placche.

In mezzo a questa confusione, le aziende interessate a sviluppare terapie specifiche hanno in primo luogo preso di mira la patologia amiloide, incoraggiate dal fatto che la forma di Alzheimer geneticamente ereditata ad esordio precoce è in gran parte causata da mutazioni nei geni responsabili della produzione e del metabolismo della β-amiloide. Questi casi familiari sono meno del 5% del totale ma le aziende sperano che una percentuale significativa di demenza ad insorgenza tardiva demenza sia, in un modo o nell’altro, legato alla β-amiloide. Finora nessuna delle strategie basate sull’amiloide ha avuto successo eppure non hanno rinunciato all’obiettivo.

Sono in fase di sviluppo biomarcatori di malattia di Alzheimer più affidabili sì da tentare nuove terapie in una fase di malattia ancora paucisintomatica e non irreversibile.

Si stanno anche tentando approcci sulla patologia vascolare. Se farmaci come le statine e gli antipertensivi sono utilizzati di routine nei pazienti ad alto rischio di infarto o ictus e se la patologia vascolare condiziona una parte significativa delle demenze allora o beneficiari del trattamento cardiovascolare a lungo termine introdotto negli ultimi due o tre decenni potrebbero essere protetto anche dalle demenze. Finora poche indagini epidemiologiche hanno sostenuto questa ipotesi, ma gli autori dello studio più rigoroso condotto fino ad oggi, il Rotterdam Study, nel corso dell’Alzheimer’s Disease International Conference tenutasi a Toronto nel marzo 2011 hanno annunciato un rallentamento nel numero di persone con diagnosi di demenza.

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