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Aggressioni in Pronto Soccorso, note a margine

Le aggressioni in Pronto Soccorso diventano sempre più frequenti, partendo dall’analisi dei dati occorre riprogrammare spazi e procedure, informare in maniera corretta le persone ed adottare misure di politica sanitaria eque, giuste e solidali.

Aggressioni ai medici: è ora di dire basta

La cronaca cittadina degli ultimi giorni riferisce, tra l’altro in maniera fin troppo addolcita, l’ennesimo episodio di aggressione ad un medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale. Non ho assistito in prima persona al fatto ma, avendo effettuato poco prima una consulenza richiesta dalla collega aggredita, posso testimoniare che stava svolgendo un lavoro oneroso in maniera efficace e, come costume consolidato dei colleghi tutti che sono in prima linea, dalla parte del paziente. In uno spazio ridottissimo, oramai da tempi biblici, stava trattando varie situazioni a favore di una variegata umanità portatrice di problematiche non solo mediche (un inconfondibile odore sgradevole attirava l’attenzione di tutti su una vecchia conoscenza del nostro ospedale, ammalato di “solitudine” e che era riuscito a farsi trasportare in ospedale, magari speranzoso di poter trascorrere qualche giorno in compagnia. E questo è solo uno dei tanti aspetti che coinvolge tantissime persone: l’ospedale come sostituto relazionale). Fatto sta che calci e pugni li può ricevere chiunque in qualsiasi momento e non si può più restare fermi ad aspettare. La violenza nei Pronto Soccorso richiede un’analisi approfondita del fenomeno, una conoscenza dei dati oggettivi al fine di individuare e prevenire le situazioni a rischio, una riformulazione degli spazi di assistenza, l’empowerment della popolazione e scelte di politica sanitaria.
Per quanto riguarda la conoscenza del fenomeno abbiamo notizie sull’esatto andamento dei flussi d’accesso, su quanto tempo le persone restano in PS, su quali sono le problematiche principali, quali sono gli orari e i giorni che riconoscono i maggiori accessi, la provenienza delle persone, le caratteristiche degli aggressori (età, sesso, condizione economica, precedenti penali)? E’ assurdo pensare che due persone siano sufficienti per soddisfare tutte le esigenze 24 ore su 24. Negli eventuali orari critici si potrebbe pensare a rafforzare la presenza di medici in PS. Si c’è carenza ma, oltre l’urgente e indifferibile necessità di assumere personale, esistono istituti di incentivazione (straordinario, ALPI, etc.) che potrebbero essere attivati per sopperire al bisogno. Inoltre da anni penso ed ho dichiarato che basterebbe, previ accordi con la categoria, far si che una volta al mese i medici di medicina generale per qualche ora lavorino ai codici verdi in PS. Avremmo almeno quattro unità la mattina e quattro il pomeriggio dal lunedì al venerdi con effetti benefici a cascata: sui pazienti che riceverebbero una risposta efficiente ed efficace, più rapida, riducendo tempi di attesa e nervosismi e, perché no, magari incontrando il loro medico di famiglia in un contesto diverso da quello solito dell’ambulatorio ad elevato contenuto di burocrazia; sui colleghi di pronto soccorso, alleviati dal carico eccessivo ed impegnati sui casi ad elevata complessità; sui colleghi di medicina generale che potrebbero costituire un importante elemento di collegamento operativo fra ospedale e territorio (altro argomento di notevole importanza che non finisce con l’accesso in PS e che trova altrettanta complessità e problematicità al momento della dimissione. Ma su questo aspetto che esula dalla presente discussione se ne può discutere in seguito). Certo l’aspetto è complesso ma se la Regione Toscana, notoriamente “ultima” nelle graduatori dell’assistenza sanitaria con le Case della Salute è riuscita ad ottenere proprio questo perché non si può pensare ad una interpretazione analoga del modello in Campania?
Da anni il PS è in ristrutturazione e sembra essere in procinto di essere consegnato. Si spera che una diversa distribuzione degli spazi possa contribuire a migliorare il servizio. Basterà? E verosimile pensare che altre ristrutturazione (e tempi lunghi e spese con risorse limitate ed in riduzione) saranno necessarie. Il modello che ispirò il progetto dell’Ospedale è del secolo scorso. Adattarlo ai tempi nostri richiede un grande sforzo comune ed è indispensabile che vengano interpellati gli operatori, quelli che quotidianamente sono alle prese con “quisquilie” quali il trasporto del paziente per una consulenza od un’indagine strumentale, la consegna di una provetta e quant’altro rende ancora più limitate le già limitate risorse. E non è solo un problema del PS. Il solitario neurologo (e non solo lui) che dalle 14 alle 8 del giorno successivo è di guardia ogni volta che si allontana dal reparto espone a rischio (e corre lui stesso pericolo) i ricoverati in un reparto che è ad alta assistenza. Ecco dunque che l’allontanarsi dal punto più distante (eccetto il reparto di Pediatria !!!) dal PS non diventa solo questione di percorso fisico ma soprattutto di responsabilità oggettiva.
Empowerment della popolazione (uso l’anglicismo perché oramai i termini in italiano non si usano più e gli esperti prestano attenzione solo se sollecitati sulla terminologia di loro competenza): sembra solo una parola ma non lo è. Abbiamo impiegato decenni per insegnare alle persone che l’ospedale non è solo un posto dove si muore ma si può essere curati; le persone hanno assistito ad uno sviluppo tecnologico ed è stata trasferita loro l’informazione che gli ospedali sono il luogo dove è possibile ricevere indagini e trattamenti complessi altrove impossibili; in una società dove la velocità e la tempestività diventano valori primari talora anche a discapito della qualità le persone non vogliono più aspettare ed ora ci meravigliamo perché le persone vengono in massa in pronto soccorso anche per banalità. A parte una doverosa disciplina degli accessi e, perché no, una maggiore attenzione al pagamento delle prestazioni non urgenti (quante persone hanno imparato a chiedere in urgenza una prestazione differibile solo perché non vogliono attendere o perché sperano di poter risparmiare?) facciamoci promotori di piccole iniziative di educazione sanitaria. Occupandomi soprattutto di anziani fragili una cosa che faccio sempre è di chiedere alle persone di misurare la temperatura ai loro familiari sofferenti. Quante ipotermie, quante febbri arrivano in PS perché nessuno ha avuto la prontezza di questa piccola manovra?
La politica sanitaria è la nota dolente. Lo scenario nazionale e regionale è desolante. La politica è diventata poco più di un detersivo dove il voto diventa la moneta da incassare perchè un partito “lava più bianco” dell’altro e le scelte non vengono effettuate in relazione ad una progettualità complessiva, ad una (che brutta parola) ideologia, un sistema di valori. Unico obiettivo è avere la maggioranza, il premio di maggioranza, distruggere l’avversario o accordarsi per spartirsi quelle che oramai sono solo delle macerie. In questo clima di precarietà, di incarichi provvisori ma definitivi, di mancata progettualità, di promesse per un futuro sempre imminente ma sempre distante e in attesa di elezioni, atti aziendali e quant’altro ci viene riferito quotidianamente l’unica certezza è che i paventati tagli alla sanità saranno una certezza e ad un sistema insufficiente farà riscontro una crescente insoddisfazione e rabbia delle persone. Qualcuna di queste avrà un problema qualsiasi di salute, si recherà in pronto soccorso, riterrà di non essere assistito “come si deve” e ricorrerà alla violenza sul malcapitato incolpevole di turno. Sperando che si limiti a calci e pugni.

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