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Spending Review: incerti i tagli agli sprechi, batosta sicura

 

Questo il titolo dell’articolo de il Fatto pubblicato lo scorso 31 luglio e che prosegue: Alla fine del lavoro in Senato le mazzate ci sono tutte, la spending review un pò meno. Le cifre generali del provvedimento, infatti, sono rimaste intatte (“i saldi sono stati interamente preservati”, nel linguaggio del governo): restano 26 miliardi di tagli nel triennio 2012-2014 e quasi altrettanti di spese o per coprire il mancato aumento dell’Iva fino a giugno prossimo, l’effetto positivo sul fabbisogno netto a regime ammonta a soli 27 milioni di euro. Insomma, i tagli, lineari, ai trasferimenti a Regioni, enti locali e comparto sanitario (oltre l’80 per cento del totale) restano al loro posto, così come la sforbiciata ai 24mila dipendenti statali a breve definiti esuberi, mentre invece buona parte del resto del provvedimento è stata riscritta dai senatori. Al governo va benissimo così, tanto è vero che il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo – uomo che pare non avere il dono della dissimulazione – ieri, comunicando all’aula di palazzo Madama tutta la soddisfazione dell’esecutivo, s’è lasciato scappare quello che quasi tutti sapevano già: “In cinque giorni siamo riusciti a fare – e questo forse rimarrà un pò nel Guinness dei primati qui al Senato – una sorta di miniFinanziaria con tempi che, secondo i Regolamenti parlamentari, negli anni passati erano molto più distesi”.
Allora è una nuova manovra, non la spending review? In serata Polillo tenterà di correggersi in modo un pò goffo: “Non dicevo Finanziaria nel senso della natura del provvedimento, ma delle procedure parlamentari”. Ci sta anche questo, d’altronde il dibattito è stato quel che è stato: Alessio Butti, per dire, ex An del PdL, ha definito il decreto “una supercazzola” (citazione da Amici Miei, fatta probabilmente pensando di essere all’opposizione), mentre il leghista Alessandro Vedani ha optato per il fantozziano “boiata pazzesca” (con la prima parola coperta da un autoprodotto “bip”). Entrambi, peraltro, ce l’avevano soprattutto col dimezzamento delle province, forse l’unico punto su cui il governo s’è davvero mostrato irremovibile. QUANTO AL RESTO – cioè alle cose che non riducono la spesa, ma la riqualificano – lavoro discutibile. Intanto il Senato ha pensato di distribuire 800 milioni una tantum ai comuni prelevandoli dai fondi per le cittadine virtuose e da quello per i rimborsi fiscali, provvedendo poi a pagare qualche sconto per i soliti noti con tasse e multe: da gennaio, ad esempio, le otto regioni in disavanzo sanitario (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) potranno aumentare l’Irpef dallo 0,5 all’1,1%. Pure le lobby del sottobosco parapolitico hanno avuto più di una soddisfazione: salva la Covip, che sorveglia i fondi pensione, cambia nome l’Isvap (con cui la prima doveva essere accorpata), restano tra noi pure il Comitato per le pari opportunità e il fondo per i comuni confinanti, slitta di qualche mese la chiusura di Arcus spa e della Fondazione Valore Italia (e in qualche mese di cose ne accadono…) e di due anni il taglio del 15 per cento degli affitti per gli uffici della Pubblica amministrazione. I colpi più duri, però, il governo li incassa da regioni ed enti locali: non sui tagli, per carità, quelli restano, ma sulle società controllate. Ora la vendita di quelle che lavorano solo “in house” non è più obbligatoria, come pure non lo è più l’accorpamento o la soppressione di enti e agenzie di proprietà di sindaci o governatori (i costi di gestione, però, dovranno diminuire del 20%). In cambio del mantenimento di questi
costi della cattiva politica, i senatori hanno pensato bene di coprirsi le spalle dando in pasto all’opinione pubblica il tetto agli stipendi (300mila euro) per i manager delle società pubbliche non quotate. Spazio per nuove modifiche non ce ne dovrebbe essere: dopo la fiducia di oggi a palazzo Madama, il testo – che accorpa pure il decreto Dismissioni, quello che rende Cassa depositi e prestiti una sorta di potenza nucleare e regala quasi quattro miliardi a Monte Paschi – dovrebbe passare senza modifiche alla Camera per divenire legge prima delle ferie.

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