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Sacro GRA

Roma è uno degli scenari ideali per la cinematografia. E’ con questa città che si riesce ad acquisire la certificazione di maturità artistica, è con questa città che si corre il rischio di sbagliare film. Nel film di Gianfranco Rosi l’impresa riesce a metà. Magari perchè Roma di Fellini incombe e diventa un obbligatorio parametro di riferimento, magari perchè nel film la città diventa di secondo piano rispetto ai personaggi ed il GRA solo una metafora di una circolarità dei rapporti umani, sebbene ipotetica, magari perchè troppi personaggi vengono solo accennati. Resta un’accorata descrizione della condizione umana, raccontata con buona tecnica cinematografica e con persone “normali”. Un principe nella sua villa, un paramedico del 118, un pescatore di anguille, dei transessuali, gli inquilini di un condominio in periferia, un botanico alla ricerca di una soluzione contro il punteruolo rosso vengono osservati nel loro quotidiano e sembrano loro stessi il punteruolo rosso, distruttori socialmente organizzati, pronti a passare da una palma all’altra incuranti dei danni provocati. Il  film è di un realismo angosciante, con lunghe sequenze in sequenza fissa e dialoghi scarni, quasi assenti. Impossibile non vederlo.

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