La Malattia di Parkinson, a differenza di Alzheimer, ha una buona terapia incardinata sugli agonisti dopaminergici: Levodopa, agonisti dopaminergici diretti, e inibitori delle monoamino ossidasi-B (I-MAO-B). Tuttavia restano diversi problemi: il trattamento è sintomatico; l’uso prolungato del farmaco più efficace, la levodopa, è associato con discinesie; ci sono poche prove che uno qualsiasi di questi farmaci possa modificare la malattia, vale a dire fermare la progressione della malattia, fatti salvi gli inibitori delle MAO-B che ne rallenta la progressione. Un altro aspetto problematico della terapia è che, con l’uso a lungo termine di Levodopa, i pazienti lamentano un effetto “off” ovvero una perdita spesso imprevedibile dell’effetto terapeutico dei farmaci. Poche le novità sul fronte dei nuovi farmaci. Qualche promessa sembra venire dal preladenant, un antagonista del recettore dell’ adenosina 2A. In uno studio di fase 2 pare che la sostanza possa ridurre il tempo di “off”. In modelli animali preclinici la monoterapia con preladenant migliora la funzione motoria senza causare discinesia. Ma il dato più rilevante per lo sviluppo clinico è che il preladenant in associazione con levodopa migliora la funzione motoria senza peggiorare le discinesie. In uno studio di fase 2, preladenant in aggiunta alla Leodopa riduce il tempo “off” rispetto al placebo. Anche il fipamezole, un altro antagonista del recettore A2A, hanno dimostrato che può essere utile nel ridurre le discinesie indotte da levodopa. Anche se meno potente, pure la caffeina è un antagonista del recettore A2A. Bere caffè è associato ad un ridotto rischio di malattia di Parkinson. Più precisamente, bere caffè può ridurre i problemi motori dei pazienti con malattia di Parkinson.
In pratica sono poche le novità sul fronte della terapia del Parkinson e riguardano aspetti di ottimizzazione dei farmaci in uso, piuttosto che nuove frontiere.