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Il welfare di domani

E’ dello scorso 15 dicembre la presentazione del rapporto “Il welfare di domani? la delega assistenziale e il futuro delle politiche sociali in Italia” da parte del Forum del Terzo Settore. Dati, cifre, interpretazioni, proposte si sviluppano in un’analisi attenta e approfondita che affronta le principali questioni:

  • La lotta alla povertà assoluta.
  • I diritti delle persone non autosufficienti.
  • La crisi dei servizi.
  • Il welfare sociale come fonte di risparmi.
  • Le scelte e i dati di realtà.
  • La «seconda Repubblica» del sociale.

Non mancano le critiche al testo della delega sull’assistenza sociale che non risulta conforme al dettato costituzionale, per diversi motivi:

  • Mancano i principi e criteri attuativi.
  • Lo Stato in materia sociale può legiferare solo sui livelli essenziali.
  • Lo Stato non può entrare nelle modalità organizzative e gestionali del welfare locale.

In ultima analisi lo Stato non deve specificare gli aspetti gestionali e organizzativi. Deve, invece, rendere concreti i pochi ingredienti base dell’«infrastruttura nazionale» necessaria al welfare locale:

  • Poche regole e standard validi per tutto il territorio nazionale.
  • Sostegno ai servizi, a fianco dei trasferimenti monetari.
  • Maggior coinvolgimento finanziario.
  • Ruolo di cabina di regia.

Drammatico il confronto con gli altri paesi europei : oltre quattro milioni di italiani sperimentano gravi deprivazioni materiali; un italiano su quattro è a rischio povertà ed emarginazione sociale; in Italia 2.7 milioni di bambini sono a rischio povertà ed emarginazione sociale, con conseguenze negative per il loro futuro; l’avere un’occupazione non mette al riparo dal rischio povertà. Ulteriori elementi di criticità sono il rapido invecchiamento della popolazione, 3.5 milioni di ultraottantenni; gli aiuti pubblici che vengono forniti solo ad un disabile su cinque; l’unica risposta ai bisogni di cura resta la famiglia, soluzione iniqua e insostenibile nel lungo periodo; infine il basso tasso di occupazione femminile che costa all’Italia 7 punti di Pil.
Conclude il rapporto che “in Italia alcune importanti trasformazioni sociali ed economiche hanno iniziato a generare nuovi rischi e bisogni che hanno contribuito a rendere più manifesti, esacerbandoli, i limiti e le criticità del nostro sistema di welfare. In generale, fenomeni quali la de-industrializzazione, la terziarizzazione dell’occupazione e la diffusione del lavoro atipico hanno reso più dannosa l’assenza di uno schema di reddito minimo garantito contro la povertà, volto ad assicurare un minimo di risorse alle famiglie che per via dei requisiti assicurativi sono escluse dalle più generose tutele previdenziali. Allo stesso modo, la diminuzione delle dimensioni medie dei nuclei familiari, la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro e l’invecchiamento della popolazione hanno minato l’adeguatezza della famiglia nel ruolo ad essa attribuito all’interno del sistema di protezione sociale italiano di agenzia primaria di welfare e al contempo reso più urgente un intervento di riconfigurazione del sistema di protezione sociale. Infatti, se nei decenni precedenti l’impostazione tradizionale e la solidità delle reti familiari e di comunità avevano permesso di ovviare alla mancanza di diritti di cittadinanza diffusi sul territorio, l’indebolirsi delle reti primarie insieme all’acuirsi dei bisogni rendono, oggi e in futuro, particolarmente grave sia la mancanza di politiche inclusive di assistenza economica sia la scarsa disponibilità di servizi di cura.  Va infine notato che l’assenza di risposte ai bisogni emergenti non ha effetti negativi solo per chi si trova in condizioni di difficoltà ma anche per l’intero paese. Il mancato adattamento al nuovo scenario ha infatti portato le famiglie a mettere in atto strategie informali di risposta alla configurazione di vincoli e opportunità con cui si confrontano, principalmente attraverso una bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro, un ritardo nella costituzione di nuovi nuclei familiari, una modificazione delle scelte procreative. Tali soluzioni a livello micro concorrono così a generare sul piano economico e sociale alcune conseguenze negative a livello macro, tra cui in particolare una crescita economica più contenuta, una maggiore diffusione del rischio povertà, un rapido invecchiamento demografico, una scarsa mobilità sociale ed un’ampia ereditarietà dello svantaggio. Tali dinamiche meriterebbero di essere considerate in modo più attento
nel dibattito sui costi e i benefici delle riforme del welfare sociale.

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