La diagnosi di Alzheimer in vita è tuttora clinica. Solo alla morte, con l’esame autoptico, è possibile avere la conferma tramite il riconoscimento delle placche neuritiche e del deposito di sostanza amiloide. Il problema non è da poco. Riconoscere con precisione la natura e l’entità della malattia con la quale stiamo avendo a che fare consente sia una precisa definizione diagnostica sia la valutazione dell’efficacia del trattamento in corso. Sopratutto come e se i farmaci riescono ad ottenere i risultati sperati. Non trascurabile la semplificazione dell’iter diagnostico, soprattutto quello neuropsicologico. Un contributo alla problematica sebra venire dall’articolo articolo pubblicato su Jama sull’utilizzo del Flobetapir.
Il biomarcatore, abbinato alla PET, sembra essere in grado di rilevare la proteina beta amiloide nel cervello. E’ noto che allo stato tale accertamento è possibile solo con l’esame autoptico. Ottenere la stessa informazioe in vita apre nuove prospettive soprattutto in relazione alla valutazione dell’efficacia dei farmaci, vecchi e nuovi.
Lo studio è stato condotto su 35 pazienti in età avanzata e su 74 controlli di età compresa tra i 18 e i 50 anni risultati negativi all’amiloide cerebrale. Il 51,7% dei probandi era affetto da Alzheimer e sono deceduti entro un’anno dall’esecuzione dell’esame. I risultati dell’esame florbetapir + PET sono stati confrontati con la presenza e la quantità di beta amiloide rilevata con l’esame autoptico. Il risultato è sorprendente: nel 96% dei casi i risultati coincidono. Questo dimostra come la diagnostica molecolare sia in grado di identificare la presenza di beta amiloide nel cervello delle persone in vita.
Non è un caso che il Flobetapir sia stato considerato una delle dieci innovazioni in sanità più importanti nel 2010.
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