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Farmaci per l’Alzheimer. Una ragnatela di bersagli (1/3)

Il numero monografico di Nature sull’Alzheimer contiene anche un ricco articolo (link) sulla terapia a firma di Lauren Gravitz.

In sintesi estrema è possibile affermare che i farmaci in via sviluppo prendono di mira vari meccanismi neurali ma nonostante la ricchezza di possibilità i successi finora sono stati scarsi.

Il 2003 sembrava un buon anno grazie all’approvazione da parte della US Food and Drug Administration (FDA) della memantina, il primo di una classe di farmaci che riduce l’attività anormale del cervello. Gli scienziati avevano inoltre individuato diversi obiettivi potenziali, varie aziende stavano sviluppando terapie basate su questi obiettivi. L’intero settore sembrava muoversi nella giusta direzione.

Otto anni dopo sono molte le terapie in fase avanzata di sperimentazione, tra cui quattro che potenzialmente possono modificare le basi biologiche della malattia di Alzheimer. Eppure, nonostante questi successi, apparentemente imminenti, il campo è dominato dallo scetticismo. Non c’è chiara evidenza che questi approcci funzionino, anzi molte osservazioni depongono contro la loro utilità

Grande parte del problema dipende dal fatto che, non conoscendo abbastanza la biologia dell’Alzheimer, i ricercatori non riescono ad individuare il giusto obiettivo. La malattia è il risultato di una lunga catena di eventi, ma alcuni degli anelli di questa catena sono ancora un mistero sicchè non si hanno certezze su quale anello tagliare per fermare la progressione della malattia. In un campo con risorse limitate, la molteplicità di teorie e possibili obiettivi ha reso la sfida più difficile,  anche se stimolante.

Ma nonostante la grande varietà di approcci possibili, tre dei quattro farmaci in fase III di speriemtazione hanno come obiettivo la ß-amiloide. Nelle persone con malattia di Alzheimer, questo frammento di proteina precipita a formare placche incastonate tra i neuroni nel cervello. Sebbene pochi ricercatori dubitino che ß-amiloide sia, almeno in parte, la responsabile della malattia, in molti cominciano a chiedersi se questa sia la giusta molecola bersaglio.

Le placche amiloidi sono uno dei tratti distintivi della malattia di Alzheimer. Infatti, gli studi di imaging hanno dimostrato che le placche possono iniziare ad accumularsi 10-15 anni prima della comparsa dei sintomi, inducendo i ricercatori a suggerire che la ß-amiloide può essere un buon obiettivo per la prevenzione. Tuttavia l’eliminazione della ß-amiloide potrebbe non fermare la malattia. Con il tempo l’Alzheimer diventa sintomatico e l’attacco alla ß-amiloide potrebbe non avere effetti percettibili.

In tal caso per fermare o invertire il declino cognitivo forse è necessario un diverso tipo di farmaco. Alcuni ricercatori suggeriscono che si potrebbe colpire un’altra caratteristica della malattia: i grovigli neurofibrillari, agglutinazioni intraneuronali di proteina fibrosa. Questi sono causati dall’accumulo di una forma tossica della proteina tau e correlano strettamente con i tempi di insorgenza dei sintomi.

Altri ricercatori invece sperimentano approcci totalmente differenti, che vanno dalla chirurgia cerebrale ai farmaci approvati per curare altre malattie quali il diabete e l’artrite.

(continua)

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