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Farmaci per l’Alzheimer. Una ragnatela di bersagli (3/3)

Concludendo l’esposizione dell’articolo pubblicato su Nature (link) si evince come il secondo obiettivo importante è la proteina tau che normalmente stabilizza i microtubuli nei neuroni sani. Nella malattia di Alzheimer e altre taupatie, tuttavia, acquisisce un numero eccessivo di gruppi fosfato e diventa disfunzionale, aggrega all’interno dei neuroni, i microtubuli crollano e i grovigli neurofibrillari che si formano bloccano la trasmissione neuronale.

Né le placche amiloidi né i grovigli di tau sono gli unici responsabili nel determinare la malattia di Alzheimer, ma tra i due i grovigli mostrano una migliore correlazione con i sintomi clinici. Si può avere un sacco di amiloide nel cervello e stare assolutamente bene ma se si ha un sacco di patologia tau, non si sta mai bene.

I cosiddetti ‘tauisti’ credono che la proteina tau sia la chiave del morbo di Alzheimer, e stanno studiando se interferendo con i gruppi fosfato in eccesso o l’enzima che li attacca si possa rallentare o addirittura invertire i sintomi della malattia. La ricerca sulla tau ha progredito più lentamente dei lavori sulla ß-amiloide, anche a causa degli scarsi finanziamenti e del travolgente interesse nella ß-amiloide e in parte a causa del ruolo essenziale della tau nel mantenere le cellule sane. Ma alcuni gruppi hanno continuato e per almeno un farmaco candidato ci sono studi di fase II. Nel mese di aprile la società biofarmaceutica Noscira ha iniziato le prove di efficacia su un composto che inibisce la GSK-3, l’enzima che aggiunge gruppi fosfato alla tau. In realtà questo è il secondo studio. In precedenza il litio ha dimostrato di inibire lo stesso enzima anche se piccoli studi sul litio sono stati inconcludenti.

Una delle terapie più pubblicizzato nella classe tau è un vecchi farmaco. Nel 2008 ricercatori di Singapore hanno annunciato che una versione modificata del blu di metilene, trattamento obsoleto per malaria, infezioni del tratto urinario e disturbo bipolare, era efficace in 321 persone con malattia di Alzheimer da lieve a moderata. Dopo 84 settimane il declino cognitivo di quelli trattati sembra essere dell’81% più lento di quelli trattati con un placebo. Tuttavia l’azienda non ha mai pubblicato i dati mentre un gruppo indipendente di ricercatori ha scoperto che, almeno in modelli animali, il blu di metilene elimina la ß-amiloide, ma non ha effetto sulla tau. Nonostante queste interpretazioni contraddittorie, l’azienda è alla ricerca di brevetti in Europa e negli Stati Uniti, e ha annunciato a dicembre che prevede di portare avanti uno studio di fase III su larga scala.

La malattia di Alzheimer esprime la morte dei neuroni. La terapia deve mirare a proteggere questi neuroni e rallentare il decorso della malattia, non invertirla.

Tra gli approcci più radicali c’è il CERE-110. Il prodotto agisce sul fattore di crescita nervosa (NGF). Dato che l’NGF non può passare attraverso la barriera emato-encefalica e dato che il gene deve essere incorporato dalla specifico sottoinsieme di neuroni più colpiti dalla malattia, la somministrazione mirata richiede un intervento chirurgico al cervello. La pericolosità della chirurgia cerebrale non può essere trascurata, ma questa particolare procedura richiede solo poche ore e non sono stati segnalati problemi di sicurezza in più di un centinaio di interventi finora operati.

Anche il Dimebon, che è stato utilizzato come antistaminico in Russia dal 1983, ha dimostrato la capacità di proteggere i neuroni. Nel 2008, un piccolo studio di fase II con il dimebon in 155 persone con malattia di Alzheimer di grado lieve-moderata ha dato risultati sorprendentemente buoni: quelli che assumevano il farmaco migliorano nella cognizione e nelle attività del vivere quotidiano per un periodo superiore ai12 mesi. Ma l’entusiasmo per il potenziale del farmaco si è raffreddato quando uno studio più ampio non è riuscito a riprodurre gli stessi risultati. Nel 2010, il primo grande studio di fase III con Dimebon non ha mostrato differenze significative tra i trattati e i gruppi di controllo. E’ in corso un secondo studio di fase III.

La malattia di Alzheimer nasconde bene i suoi segreti. Quindi, anche se i ricercatori possono essere in disaccordo sul metodo migliore per fermarlo, la maggior parte concorda sul fatto che l’attuale gamma di bersagli offre buon punto di partenza. Purtroppo nessuno sa ancora quale sarà l’approccio migliore.

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