In conclusione a quanto esposto nei giorni scorsi l’articolista afferma che se la patologia è presente prima che la persona manifesti il declino cognitivo il passo successivo più logico dovrebbe essere la scansione di routine degli anziani per identificare i segni rivelatori della malattia. Ma questo è più facile a dirsi che a farsi. La risonanza magnetica è costosa e la PET ancora di più oltre a non essere facilmente disponibile. La puntura lombare può essere di routine ma è molto più invasiva del prelievo di sangue e comporta un rischio, seppure minimo, di infezione e danni al midollo spinale. Oltre a non essere etico.
Un biomarcatore ideale dovrebbe essere rintracciabile in un semplice esame di sangue e regolarmente vengono proposti nuovi marcatori che soddisfano questo criterio. Negli anni scorsi sono stati proposti la clusterina, la proteina carbonile, gli inibitori dell’enzima di conversione, i prodotti della perossidazione lipidica e pattern di espressione genica. Il marcatore ideale potrebbe essere imminente o potrebbe anche non esistere. E’ verosimile che potremmo essere costretti a utilizzare una combinazione di biomarcatori. Non sono stati ancora pubblicati i dati di due nuovi potenziali biomarcatori, una molecola immunitaria e una proteina tumore-soppressore, che si trovano nei monociti.
In un lavoro del 2007 l’utilizzo combinato di 18 proteine plasmatiche misurata insieme ha evidenziato come si possano differenziare le persone con Alzheimer dai controlli sani. Tuttavia nemmeno questo approccio ha portato a risultati riproducibili. Questa mancanza di riproducibilità ha suonato la campana a morto per molti promettenti studi di biomarker.
In un altro studio invece di usare una serie di anticorpi per cercare le proteine nel sangue è stata utilizzata una matrice di 15.000 proteine sintetiche per cercare gli anticorpi nel sangue che, in assenza di malattia, non dovrebbero esserci tutti ma in presenza di malattia andranno a essere amplificati milioni di volte. Tale approccio presuppone che la patologia della malattia di Alzheimer includa una risposta immunitaria, un’idea che non è generalmente condivisa tra i ricercatori. Ma tale scommessa sembra aver dato i suoi frutti. Sono stati trovati due anticorpi che sono fortemente espressi in 14 delle 16 persone con malattia di Alzheimer e solo in 2 su 16 soggetti di controllo. Poiché i controlli sono stati appaiati per età, i due con elevati livelli di anticorpi potrebbero avere la malattia in fase preclinica, più o meno allo stesso modo in cui le placche amiloidi sono evidenti ben prima dei sintomi cognitivi. Lo studio è stato esteso a circa 200 persone.
(continua)